Sono le 21 del 3 Aprile. Volo Air China per Pechino. 15.30 ora locale del 4 Aprile volo Air China per Shenzen. Al nostro arrivo in questa città del sud della Cina molto vicina ad Hong Kong troviamo una ragazza cinese ad aspettarci insieme ad uno dei manager della società che mi aveva invitato per una serie di conferenze e di dimostrazioni chirurgiche. Ci accompagna in Hotel. Durante il tragitto osserviamo a bocca aperta attraverso i finestrini dell’auto. Shenzhen è la porta della Cina verso il mercato mondiale. Nello spazio di tre decenni, questa zona economica situata a nord della provincia di Guangdong, è passata da un villaggio di 30.000 anime a una metropoli economica moderna di oltre 12 milioni di abitanti. Shenzen è il principale esportatore e la porta principale della Cina. Per contro, anche per gli investitori esteri questo rappresenta una porta d’accesso molto importante al mercato cinese, in forte crescita. Arrivati in albergo troviamo una delegazione ad attenderci, ad Eleonora mia moglie viene consegnato un bellissimo mazzo di fiori. Siamo frastornati dalle lunghe ore di volo e dal fuso orario. Un quarto d’ora per rinfrescarci in camera poi tutti a cena. Sono in quattro. I due uomini sorridono ma non parlano una parola di inglese. La nostra interprete parla in inglese ma spesso non riesce a capirci. La sua collega parla male l’inglese ma è l’unica che ci capisce. Pochi convenevoli. Mangiamo. Ci salutano dandoci appuntamento alle 9.30 della mattina successiva. Con Eleonora decidiamo di fare un piccolo giro di ricognizione intorno all’hotel. Shenzhen non si distingue più solo per le fiorenti attività industriali, finanziarie e logistiche, ma anche per le opportunità turistiche: Window of the World e “Splendid China” sono due parchi tematici che rappresentano modelli dei monumenti più famosi, rispettivamente del mondo e della Cina, mentre Wutong Montain National Park è un parco naturale che si trova nella zona est della città.
Shenzhen è dotata di buone strutture ricettive e attira visitatori da Hong Kong alla ricerca di specialità culinarie cantonesi e servizi di prostituzione a buon mercato. Allo stesso tempo però il tasso di criminalità relativamente elevato intimidisce molti visitatori di Hong Kong
I turisti di solito preferiscono visite brevi alla città per via della mancanza di siti culturali di particolare interesse e a causa del forte inquinamento. In genere vengono attirati dall’opportunità di vedere la “vera Cina”, anche se Shenzhen non la rispecchia affatto e, nata com’è per scelta politica, può essere definita il prototipo della Cina del XXI secolo. Grattaceli, locali e tante donne. Curate, vestite in modo occidentale, sensuali nei movimenti. Le donne cinesi hanno un ideale di bellezza difficile da raggiungere. Un recente sondaggio condotto dal portale sina.com ha confermato quali sono i criteri cui debbono conformarsi. Innanzitutto, l’altezza: almeno un metro e settanta. Poi, la magrezza estrema, per i cinesi una bella donna deve essere pressoché diafana. Infine, la pelle, liscia e chiara. A questi tre criteri fondamentali si aggiungono un viso ovale, un naso leggermente pronunciato, degli occhi grandi (da cerbiatta, si direbbe dalle nostre parti) contornati da palpebre visibili.
Si tratta, però, di caratteristiche estranee al tipo somatico cinese. L’altezza media delle donne è di un metro e sessanta e nelle regioni meridionali è anche inferiore; in molte aree il colore della pelle è più olivastro che avorio. Gli occhi delle cinesi, poi, sono spesso piccoli e a fessura, con delle palpebre che, quando l’occhio è aperto, sono quasi invisibili. I visi sono rotondi e i nasi a patata. Il risultato? Schiere di donne insoddisfatte del proprio aspetto fisico, i cui difetti vengono rinfacciati non solo da parenti e amici, ma anche da conoscenze occasionali. In Cina, infatti, non è considerato indiscreto sottolineare che la propria interlocutrice è sovrappeso o ha una brutta cera: con la conseguenza che le malcapitate si sentono ancora più brutte.
La mattina successiva troviamo la nostra interprete e una macchina ad aspettarci fuori dall’hotel. Un breve tragitto fino allo Shenzhen Sun Hospital Group. Eleonora inizia a sorridere. Guardando meglio l’ingresso di questo ospedale privato capisco la ragione. Uno striscione plastificato enorme sotto le insegne della clinica, tanti caratteri incomprensibili ma a grandi lettere latine leggo il mio nome. Vengo accolto come un’autorità. Ci accompagnano nello spazio conferenze al terzo piano. Tutti i medici e le infermiere sono seduti pronti ad ascoltare cosa ha da dire il chirurgo plastico venuto dall’Italia per svelare i segreti della bellezza. In Cina si effettuano circa un milione di interventi estetici l’anno. Sono in maggioranza donne quelle che frequentano
le sale operatorie. Travolte dalla voglia di occidente. Una serie infinite di foto, strette di mano e applausi accompagnano la mia esposizione. Laserlipolisi: ecco cosa vogliono sapere. Come utilizzare il laser di una ditta italiana, presente sui mercati di tutto il mondo la QuantaSystem spa di Milano, per sciogliere il grasso in modo poco invasivo.La nostra interprete traduce con attenzione le mie parole. Tanti applausi. Alla fine delle conferenza compare il laser italiano. Un pezzo di maiale, grasso e cotica e inizia una simulazione chirurgica. Al termine il direttore della clinica ci invita pranzo
nella sala privata di un ristorante caratteristico. Tante portate, non sappiamo cosa stiamo mangiando. Eleonora, mia moglie sorride sorseggiando un bicchiere di acqua calda. In Cina si usa così. Ci riportano in clinica. Iniziamo la seduta operatoria. Mi mostrano le pazienti. La prima vuole “sgrassare” il viso, la seconda le braccia. Mi guardo intorno. Tutto perfetto, ma non riesco ad identificare l’anestesista. Inizio l’intervento. La paziente, in anestesia locale, guarda con speranza il medico italiano che dovrà farle ritrovare la bellezza. Tante telecamere, molte domande. Si passa al secondo caso. Inizio a sentirmi stanco. Finiti gli interventi mi cambio. Ci accompagnano all’ingresso della clinica. La prima paziente operata vuole una foto ricordo con me. Ci
attende una macchina che ci porterà in aereoporto. La nostra interprete e il suo capo voleranno con noi alla volta di Changsha. Il volo dovrebbe partire alle 20.40 ma porta tre ore di ritardo. Nella notte arriviamo nella nostra seconda destinazione. Changsha è il capoluogo dell’Hunan, una provincia della Cina centro-meridionale, bagnata dal fiume Xiangjiang, il maggiore affluente del fiume Yangtze. La città copre un’area di 11.819 chilometri quadrati ed ha una popolazione di 6.017.600 (2003) di abitanti. Ha lo status di città prefettura. Ci attende una macchina con l’autista che ci accompagna in hotel. La nostra accompagnatrice ci conferma l’appuntamento nella hall dell’albergo per la mattina successiva alle 9. Dopo una colazione molto orientale
veniamo accompagnati allo Yahan International Medical Cosmetic Hospital. Di nuovo accoglienza ufficiale, foto, un bellissimo mazzo di fiori e tanti cartelloni all’ingresso della clinica con la mia foto e il mio nome. Lo stesso cliché del giorno precedente ma le dimostrazioni chirurgiche iniziano al mattino. Mi portano a vedere tante pazienti desiderose di essere operate. Iniziamo con un trattamento di laserlipolisi delle gambe. Una ragazza sui vent’anni. Molti colleghi ad osservare con attenzione quello che faccio. Cerco l’anestesista, ma anche in questo caso non ho risposta. Pranzo frugale: riso, pollo, verdure. Di nuovo in sala operatoria. Fianchi, braccia, gambe. La Cina vuole ritrovare l’armonia delle forme nella tecnologia italiana. Durante le sedute operatorie chiedo la ragione per la quale non venissero
utilizzate macchine laser locali. Mi viene risposto che medici e pazienti vogliono le tecnologie occidentali. Sono loro stessi a non fidarsi dei loro prodotti presenti sul mercato. Alle 19 quando penso di aver terminato il direttore della clinica mi chiede di operare un’altra paziente, venuta da un’altra città per essere trattata da me. Non posso rifiutare. 20.40 terminata la lunga serie di interventi ci invitano a cena nel ristorante più antico della città. Brindisi ogni due minuti, ciotole di pietanze sconosciute alcune disgustose altre molto appetibili. Poche ore di sonno e voli di ritorno alla volta di Roma. Sull’aereo mi viene consegnata una copia in inglese del China Daily. Si parla di economia: “hard power & soft power”. In Cina
c’è stato un grosso sviluppo dell’”hard power”, dell’economia di base. Ora i cinesi cercano il cambiamento anche nel “soft power”, nell’arte, nella cultura, nella ricerca scientifica. Una forma di emancipazione che deve andare di pari passo con lo sviluppo industriale ed economico di base. La chirurgia estetica è sicuramente una parte importante di questa emancipazione.
La Cina sta cambiando. I mutamenti sociali ed economici sono quelli più evidenti. Le zone colpite da questa metamorfosi sono quelle (principalmente sulla costa) dove la presenza degli occidentali è più evidente, direi invadente. Fin qui tutto normale se non fosse che i cinesi rischiano di perdere, oltre che la loro tradizione e cultura, anche la loro
identità…fisica. Infatti secondo un recente sondaggio, condotto dall’Horizon Research Consultancy Group di Pechino, le donne dell’ex impero celeste vogliono apparire più occidentali. L’indagine sembra svelare che le donne cinesi non si piacciono più. O meglio che il 33% di quel campione di 1600 donne (tra i 18 e i 55 anni) delle città di Shanghai, Tianjin e Shenzhen, su cui è stata svolta l’indagine, vogliono: cambiare il contorno del proprio viso troppo ovale e schiacciato, aggiustare le palpebre, eliminare il grasso superfluo dalla pancia e ricorrere alla liposuzione alle gambe o farsele allungare, senza dimenticare di farsi ritoccare il naso. Quello che sconcerta di più non è il ricorrere alla chirurgia estetica per eliminare delle imperfezioni o per aumentare di una taglia il proprio seno, ma è, secondo quanto dichiarato da Huang, un medico di Pechino, il desiderio di “apparire più caucasiche”.